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Non diagnosta un tumore, il paziente muore: indagato per omicidio colposo il dentista. La vicenda ed il commento di Marco Scarpelli odontologo forense
[venerdì 1 ottobre 2010]

Gli era stata diagnosticata una cisti alla mandibola, invece era un massa tumorale ed a causa di questo un paziente milanese di 33 anni è morto in meno di un anno. 

La triste vicenda comincia nel luglio 2009, quando in vacanza all'estero, il povero paziente ha scoperto al tatto un piccolo gonfiore sotto il mento sul lato sinistro. Immediatamente ha chiamato il suo odontoiatra che, al telefono, ha ipotizzato un ascesso e gli ha prescritto gli antibiotici. Qualche giorno dopo, rientrato in città, si è recato nello studio del professionista per essere una visita. Effettuate le analisi del caso, radiografia compresa, il medico ha ritenuto fosse una cisti che poi ha rimosso, senza però, nonostante le richieste del paziente (secondo la ricostruzione fatta dal paziente e consegnata al suo avvocato), sottoporla ad analisi specifiche che confermassero la diagnosi. Qualche giorno dopo, la ferita all'interno della bocca, “si chiude in modo strano e il gonfiore sul volto, aumenta diventato visibile". Il dentista allora è intervenuto di nuovo cercando di asportare una massa che si era formata, spiegando al paziente che bisognava aspettare che si riassorbisse. La situazione invece è peggiorata, e ad agosto l'uomo, in visita alla famiglia, si è rivolto al dentista dei suoi genitori, che gli ha consigliato una tac, seguita da una risonanza magnetica. Esami che hanno permesso ai medici dell'ospedale San Paolo di Milano, a cui si era rivolto, di diagnosticargli un tumore maligno alla mandibola (rabdomiosarcoma). Diagnosi confermata dall'esame istologico. A nulla sono però serviti cicli di chemioterapia e un intervento chirurgico. Prima di morire il paziente aveva denunciato il primo dentista ora indagato per omicidio colposo.

In attesa degli accertamenti della Magistratura che dovrà stabilire le responsabilità sulla vicenda, abbiamo chiesto un commento al dott. Marco Scarpelli odontologo forense.

“Pur non entrando nella vicenda clinica –ci dice- di cui si conoscono solo i contorni, si può affermare che qualsiasi tipo di patologia, anche quella apparentemente più semplice, non deve essere sottovalutata. L'odontoiatra ha il dovere etico/deontologico di sottoporre il paziente, in prima visita e come viene già insegnato dai banchi dell'università, ad un approfondito esame non solo dei tessuti duri del cavo orale ma anche delle mucose e parti molli, stazioni linfonodali, etc., il tutto inquadrato in una anamnesi medica generale. Se, nel contesto di tale attività diagnostica, si entra in contatto con una neoformazione, o si è dotati della competenza necessaria oppure si deve inviare il paziente a consulto presso il patologo orale, con lettera di accompagnamento (certificato) che illustri quanto rilevato. Per quanto sia ovviamente necessario, soprattutto sospettando patologie neoplastiche, consiglio di non perdere del tempo; qualsiasi studio odontoiatrico, in qualsiasi luogo ubicato, avrà un centro di riferimento o un collega specialista dove orientare il paziente. Nel caso descritto, non solo il collega sembrerebbe avere complessivamente sottovalutato e non capito che tipo di lesione trattava, ma avrebbe anche omesso, se pure –sembrerebbe- sollecitato dal paziente, un esame istologico. Se ciò risultasse correttamente ricostruito, oltre ad un evidente comportamento in generale negligente si evidenzierebbe un atteggiamento gravemente omissivo”.

“In conclusione -consiglia Scarpelli- va quindi suggerita opportuna cautela e conoscenza dei propri limiti. Scegliere di avviare ad un collega esperto in un certo campo, un paziente, non è segno di incapacità ma anzi di competenza. E la scelta che ne deriva appare una scelta qualitativamente corretta”.

 

 


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