Musica in studio senza diritto d’autore? Una sentenza rimette in discussione questa tesi
[mercoledì 20 ottobre 2010]
Continua il braccio di ferro tra dentisti e SCF (Società Consortile Fonografici) che pretende il pagamento per i diritti discografici per la musica diffusa nello studio.
Dopo alcune sentenze che davano ragione ai dentisti, il tribunale di Milano con la sent.10901/2010 conferma la tesi della SCF per cui “la diffusione di musica all’interno di studi professionali privati - come quelli dentistici - rappresenta una forma di “pubblica utilizzazione”, come definita espressamente nella Legge sul Diritto d’Autore (art. 73 bis - L.D.A. 633/41)”. Il tribunale di Milano era stato chiamato ad esprimersi in merito alla sentenza, del 2006, dello stesso tribunale che aveva dato ragione ad un dentista accusato di non aver pagato i diritti d’autore. Ma lo studio in questione non è uno qualsiasi ma quello dell’ex- presidente ANDI Roberto Callioni che nel periodo in cui i fatti si sono svolti ricopriva la carica di presidente nazionale.
“Per come si sono svolti i fatti -ci dice telefonicamente il dott. Callioni- da subito ho capito che si tentava di colpirmi come simbolo della azione che ANDI stava tenendo a tutela dei dentisti chiamati a pagare una tassa da noi ritenuta non dovuta”. “Durante l’unica mattina in cui non sono in studio -ci racconta- si presentano due persone, poi ho scoperto trattarsi di investigatori privati, che fingendosi pazienti chiedono alla mia assistente un appuntamento. Mentre la mia collaboratrice sfoglia l’agenda, una delle due persone, attraverso un registratore nascosto, registra la musica in sottofondo proveniente da uno stereo acceso dall’assistente. Registrazione utilizzata come prova che nello studio veniva diffusa musica. La scena si ripete la settimana successiva quando i due si recano nuovamente in studio nella mattinata di chiusura per disdire l’appuntamento”.
“Nel 2006 -spiga l’ANDI attraverso una nota inviata ai soci- la S.C.F. ha attivato un contenzioso volto ad ottenere il pagamento di una tassa, ulteriore rispetto a quella richiesta dalla SIAE, nel caso in cui lo studio diffonda musica sia nella sala d’attesa sia in tutti gli altri ambienti.
ANDI, intervenendo nella difesa dei Soci, ha sostenuto che lo studio professionale non è equiparabile ad un luogo pubblico, o aperto al pubblico, e che, pertanto, tale tassa non è dovuta in quanto la legge non la prevede per tutti quei luoghi privati, in cui per definizione non si determina un pubblico anonimo”.
Tesi sostenuta dall’associazione in altre cause come quella tentata davanti al tribunale di Torino dalla SCF nei confronti di un dentista locale; tribunale che ha accolto le istanze dell’associazione mentre la Corde di Appello del capoluogo piemontese, chiamata ad esprimersi sull’esito della prima sentenza da parte della SCF, ha sospeso il procedimento rimettendo la questione alla Corte di Giustizia Europea, che ancora non si è pronunciata.
Se per ANDI la sentenza del tribunale di Milano smentisce la costante giurisprudenza italiana che ritiene non dovuto tale compenso in luoghi privati in cui manca il concetto di pubblico generalizzato, per la SCF “conferma e rafforza l’orientamento giurisprudenziale che ha caratterizzato la tutela dei diritti di artisti e discografici in questi ultimi anni, riaffermando che il pagamento del compenso SCF è dovuto qualsiasi sia il mezzo utilizzato, anche una radio”. “Nello specifico -sostiene in un comunicato la SCF- è in linea con la normativa europea e con quanto già da tempo avviene negli altri paesi dell’Unione, dove gli studi medici e dentistici riconoscono regolarmente il pagamento dei diritti discografici a fronte dell’utilizzo di musica d’ambiente, per offrire ai propri pazienti un ambiente più confortevole e rilassante”.
Probabilmente solo il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, atteso tra qualche anno, chiarirà definitivamente chi ha ragione.
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