Chiariamo subito che il fatto su cui si è espressa la Suprema Corte di Cassazione Civile con la sentenza 23287 del 18 novembre 2010 si riferisce ad un avvocato, ma si può estendere a tutti i liberi professionisti. Il professionista veniva sanzionato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per una pubblicità giudicata troppo suggestiva; in particolare si contestavano questi due slogan: “assistenza legale per tutti”; “prima consulenza gratuita”.
Tra i vari aspetti su cui basava il suo ricorso in Cassazione, l’avvocato sostenva che l’art. 2 della l. n. 248/2006 (la Bersani) “sono state abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che disponevano divieti, anche parziali, di pubblicità informativa relativa ad attività libero-professionale”.
La Cassazione, rigettando il ricorso, indica che “è vero che l’art. 2 del d.l. n. 223/2006, conv. con l. n. 248/2006, ha abrogato le disposizioni legislative che prevedevano, per le attività libero-professionali, divieti anche parziali di svolgere pubblicità informativa”.
“Sennonché –continua la Suprema Corte- diversa questione dal diritto a poter fare pubblicità informativa della propria attività professionale è quella che le modalità ed il contenuto di tale pubblicità non possono ledere la dignità e al decoro professionale, in quanto i fatti lesivi di tali valori integrano l’illecito disciplinare di cui all’art. 38, c. 1, r.d.l. n. 1578/1933. Lo stesso art. 17 del regolamento deontologico forense dispone che sussiste la libertà di informazione da parte dell’avvocato sulla propria attività professionale, ma che tale informazione, quanto alla forma ed alle modalità deve “rispettare la dignità ed il decoro della professione” e non deve assumere i connotati della “pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa”. L’art. 17 bis del codice deontologico stabilisce le modalità specifiche dell’informazione e l’art. 19 fa divieto di acquisizione della clientela con “modi non conformi alla correttezza e al decoro”. Ne consegue che sotto il profilo delle lamentate violazioni di legge, esse non sussistono poiché non è illegittimo per l’organo professionale procedente individuare una forma di illecito disciplinare (non certamente nella pubblicità in sé perfettamente legittima nel suo aspetto informativo ma) nelle modalità e nel contenuto della pubblicità stessa, in quanto lesivi del decoro e della dignità della professione, e non nell’attività di acquisizione di clientela in sé, ma negli strumenti usati, allorché essi siano non conformi alla correttezza ed al decoro professionale”.