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La rifinitura della cavità influenza l’adesione con il materiale da restauro. Ma quale materiale utilizzare?
[mercoledì 16 febbraio 2011]

Il fine ultimo di ogni restauro conservativo è quello di garantire un’unione stabile a lungo termine tra il materiale da restauro stesso e la struttura dentale. Questo legame dipende da molte variabili quali il tipo di preparazione, le proprietà del materiale da restauro e dell’agente adesivo utilizzato. In anni passati molti studi hanno analizzato queste variabili e diversi Autori hanno focalizzato la propria attenzione sulla finitura cavitaria prodotta da diversi strumenti rotanti. Nonostante ciò ancora poche informazioni sono disponibili sull’effetto di questi strumenti sulla topografia del substrato dentale e la sua influenza sull’interfaccia adesiva.

Uno studio pubblicato su Il Dentista Moderno (2011; 02: 52-60) ha cercato di farlo. Per realizzarlo sono stati selezionati venti molari estratti privi di alterazioni morfologiche. Gli elementi sono stati mantenuti in soluzione acquosa per tutto il periodo di studio e utilizzati entro tre mesi dall’estrazione. In ogni elemento selezionato sono state preparate due cavità di classe II (OM-OD) utilizzando una fresa diamantata a grana media (100 μm, Komet). I campioni sono stati poi divisi in 4 gruppi (A/B/C/D) in base al tipo di rifinitura cavitaria effettuata (fresa carburo di tungsteno 12 lame o fresa diamantata a grana fine 46 μm, Komet) e al tipo di sistema adesivo applicato (Clearfil SE Bond o Clearfil S3 Bond, Kuraray). Tutti i campioni sono stati poi sottoposti alle fasi di preparazione per l’analisi al SEM delle superfici rifinite e delle interfacce adesive create. Sono state notate evidenti differenze tra la topografia superficiale e le caratteristiche dello smear layer in base al tipo di strumento rotante utilizzato per la rifinitura cavitaria; la superficie dentale lavorata mediante fresa carburo di tungsteno 12 lame è risultata essere sempre più liscia e con solo lievi irregolarità se confrontata con superfici rifinite mediante fresa diamantata a grana fine. Lo strato di smear layer poco compatto, dimostrando un’alta permeabilità che ha permesso l’infiltrazione dei monomeri resinosi dell’adesivo attraverso lo strato di fango dentinale fino alla sottostante dentina intatta con la creazione di una importante zona di interdigitazione con la presenza di lunghi e numerosi zaffi resinosi. Al contrario, i profondi solchi creati dall’utilizzo della fresa diamantata a grana fine possono aver causato un’irregolare distribuzione dei detriti di fango dentinale con accumulo di uno spesso strato dello stesso alla base dei solchi. Queste variazioni regionali nello spessore e nella densità dello smear layer possono aver contribuito a una scarsa penetrazione dei monomeri acidi attraverso lo strato di fango dentinale accumulato in tali zone con la creazione di un’interfaccia adesiva che dimostra scarsa presenza di zaffi resinosi.

“La topografia superficiale e le caratteristiche dello smear layer prodotte nella fase di preparazione e rifinitura cavitaria –spiegano gli Autori-  sono fattori influenzati dal tipo di strumento rotante utilizzato. Le frese carburo di tungsteno 12 lame con la loro azione di taglio e asportazione hanno sempre prodotto, durante i test in vitro, una superficie più levigata, uniforme e priva di irregolarità se confrontata con frese diamantate a grana fine. Tali differenze hanno determinato variazioni significative nell’azione. La scelta del corretto metodo di rifinitura cavitaria potrebbe perciò avere un effetto determinante sull’interazione tra il sistema adesivo e il substrato”.


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