Concorrenza sleale, l’associazione professionale può promuovere azione per reprimere la condotta scorretta ma non per il risarcimento del danno. A sancirlo la Corte di Cassazione con la sentenza numero 7047 del 9 maggio 2012 respingendo il ricorso di ANDI presentato controdue pseudo
odontoiatri che avevano patteggiato l’accusa di esercizio abusivo della professione.
L’Associazione si era costituita parte civile contro i duefinti dentisti chiedendo un risarcimento danni per concorrenza sleale.
La suprema corte ha invece stabilito che le associazioni professionali possono avviare la causa per reprimere la concorrenza sleale dei singoli professionisti ma non per ottenere il risarcimento del danno.
“L’associazione –motiva la Cassazione- può ottenere la soppressione della concorrenza sleale fra professionisti ma non è legittimata a chiedere anche il danno non patrimoniale (morale) in quanto sul questo fronte, ha spiegato la Cassazione, non è parte in causa. Vero è che l'art. 2601 cod.civ. – continua la sentenza attribuisce anche alle associazioni professionali la legittimazione a promuovere l'azione per la repressione della concorrenza sleale. Ma questa azione, volta a reprimere i fatti di concorrenza sleale, è diversa da quella risarcitoria, meramente eventuale, prevista dal precedente art. 2600 cod. civ., e d'altro canto appare corretta la motivazione della Corte di Appello, che esclude in radice la sussistenza di un danno risarcibile, sul rilevo che non esercita l'attività medica e non ha subito alcuna sottrazione di clientela per effetto della concorrenza sleale”.