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Esercizio abusivo della professione, i massimari della CCEPS. Basta la dichiarazione dell’odontotecnico per provare il dolo del prestanome
[giovedì 4 aprile 2013]

Il Ministero della Salute ha pubblicato sul proprio sito i massimari delle sentenze della Commissione Centrale per gli Esercenti Professioni Sanitarie del 2011.

Le decisioni sono utili ai professionisti per capire come si deve interpretare il Codice Deontologico, molto più utile sarebbe conoscere non solo la decisione della CCEPS ma anche il fatto che ha portato l’iscritto a ricorrere.

Questi i massimari che interessano l’esercizio abusivo della professione

Esercizio abusivo – dolo specifico

19. L’acquisizione agli atti di una dichiarazione dell’odontotecnico, dalla quale emerga che lo stesso ha operato su pazienti con la piena consapevolezza del sanitario, comporta la sussistenza della volontà del sanitario stesso di agevolare l’esercizio abusivo della professione da parte di persona non abilitata, così integrando il requisito di applicabilità dell’art. 8 della legge n. 175/1992 sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 834/2007, per cui la figura del dolo specifico richiede che “lo scopo ulteriore che l’agente si deve prefiggere è quello di permettere o comunque agevolare l’esercizio abusivo della professione” (n. 13 del 4 luglio).

20. È infondato il gravame con cui si deduce l’errata applicazione dell’art. 8 L. 175/1992 per non essere sufficientemente provato il dolo specifico nell’addebito di agevolazione di esercizio abusivo della professione, quando la motivazione del provvedimento si fondi sulla circostanza che il sanitario aveva consentito all’odontotecnico di avere libero accesso allo studio odontoiatrico di cui egli aveva la responsabilità, così consentendo all’odontotecnico stesso di operare a tempo pieno e di eseguire anestesie locali, applicazioni di protesi, visite del cavo orale, impianti di viti dentali su diversi pazienti. Da ciò risulta comprovata la volontà del sanitario di agevolare l’esercizio abusivo della professione da parte di persona non abilitata, così integrando il requisito di applicabilità dell’art. 8 citato, come statuito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 834/2007, secondo la quale la figura del dolo specifico richiede che “lo scopo ulteriore che l’agente si deve prefiggere quello di permettere o comunque agevolare l’esercizio abusivo della professione” (n. 44 del 19 dicembre).

21. È infondato il gravame cui il ricorrente eccepisce l’assenza di prova circa l’elemento psicologico del dolo specifico laddove l’Ordine abbia dato dimostrazione in modo inequivocabile della mancata adozione, da parte del sanitario, delle misure idonee ad evitare l’esercizio abusivo della professione, risultando accertato che diversi atti medici sono stati compiuti da un soggetto a ciò non abilitato, che da questi atti sono derivate lesioni documentate dai pazienti danneggiati e che i fatti denunciati sono stati compiuti nello studio di cui era titolare il ricorrente. Al riguardo, va innanzitutto considerato che la mancanza del dolo certamente non comporta insussistenza del fatto addebitato, atteso che – come già affermato dalla Commissione Centrale in analoghe occasioni – l’inosservanza delle norme giuridiche, ivi comprese quelle di natura deontologica, e tecniche, dovuta anche solo a un profilo di negligenza e di culpa in vigilando, dà sempre luogo a responsabilità disciplinare. Né l’affermazione di non aver verificato i titoli professionali del suo collaboratore può escludere la responsabilità del professionista, anzi connota nel suo tratto tipico l’inosservanza degli oneri di sorveglianza da parte dell’interessato, al quale competeva la vigilanza sulla attività professionale esercitata nel suo studio medico. Ciò premesso, se l’illecito sanzionato è quello di favoreggiamento dell’esercizio abusivo della professione, il provvedimento è da annullare ove non appaia sufficientemente provata, in concreto, la sussistenza nel comportamento del sanitario del c.d. dolo specifico. In presenza di dichiarazioni dell’incolpato di non aver verificato i titoli professionali del suo collaboratore, è ravvisabile la colpa nella forma della scarsa vigilanza, scarsa attenzione e negligenza, quale elemento necessario e sufficiente per ritenere sussistente la responsabilità disciplinare del sanitario; invece, va derubricata la fattispecie d’illecito a colpa grave sotto il profilo deontologico, e la sanzione ricondotta a quelle previste dal DPR 5 aprile 1950, n. 221 per le violazioni del Codice di deontologia medica, la cui gravità nel caso in esame portano a ritenere adeguata la sospensione dall’esercizio professionale nella misura massima prevista di mesi sei (n. 56 del 19 dicembre).

Esercizio abusivo – favoreggiamento

22. Per integrare la fattispecie contraria ai doveri di deontologia professionale di cui all’art. 67 C.d., vale a dire di consentire o agevolare l’esercizio abusivo della professione, non è necessaria e indispensabile una condotta attiva, essendo sufficiente anche una mera condotta omissiva rispetto al dovere di vigilare riconducibile in capo al titolare dello studio (n. 9 del 7 febbraio)

23. Dall’art. 653, comma uno-bis, c.p.p., nonché dal costante orientamento interpretativo della giurisprudenza in materia di rapporti tra giudizio disciplinare e penale, deriva che “l’autorità disciplinare è vincolata al giudicato penale per quanto concerne gli elementi di fatto e di diritto che sono stati presi in esame e sono serviti a formare il convincimento del magistrato penale”. Pertanto, resta attribuito all’organo di disciplina il libero apprezzamento dei fatti quali accertati dall’autorità giudiziaria, al fine di valutarne le conseguenze sotto il profilo deontologico. È quindi legittimo il provvedimento che si fondi da un lato su fatti accertati con sentenza del Tribunale, nella quale sia accertato che l’incolpato aveva consentito ad un odontotecnico di eseguire manovre riservate all’esclusiva competenza dell’odontoiatra nella bocca del paziente, e dall’altro sulla valutazione della commissione di disciplina che – preso atto di tali risultanze istruttorie, e in particolare dell’ispezione effettuata dai NAS presso lo studio del sanitario, nel corso della quale lo stesso risultava avere affidato una paziente alle cure di un odontotecnico – correttamente ritenga che le stesse integrino una condotta gravemente improntata a scarso senso di responsabilità e, in assenza di elementi che depongano in un ravvedimento del sanitario, ne giudichi il comportamento come contrario al principio di cui all’art. 67 C.d., in quanto tale meritevole di essere censurato, sia pure con una misura contenuta nei limiti dell’apparato sanzionatorio previsto dal DPR n. 221/1950, anziché con la ben più grave pena di cui all’art. 8 della legge n. 175/1992 (n. 43 del 24 ottobre).

 


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