Nel 2010 la Commissione tributaria del Lazio accoglie il ricorso di un Veterinario al quale veniva contestato un maggiore reddito solo sulla base dei parametri rilevati dallo studio di settore ritenendo l'atto impositivo “non adeguatamente motivato, in quanto non era dato rilevare quale metodo fosse stato seguito nella rideterminazione del reddito, senza che il semplice richiamo allo studio di settore potesse ritenersi sufficiente in ordine al ricarico applicato”.
Contro la sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione che con la sentenza n. 10584 del 7 maggio 2013, accoglie il ricorso.
Per la Suprema Corte, l’amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento “sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi, ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta” e quindi sugli studi di settore. Nel caso l’accertamento sia fondato sugli studi di settore, precisano i Giudici “l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente” anche se la Cassazione chiarisce che “lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore deve costituire una grave incongruenza ai fini dell’avvio della procedura di accertamento”.