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Ruolo dell’odontoiatra nella prevenzione dell’osteonecrosi da bifosfonati
[martedì 12 maggio 2009]

I bifosfonati sono farmaci in grado di inibire il riassorbimento osseo e la formazione di vasi anomali che per queste proprietà sono utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi post menopausali, del morbo di Paget, dell’ipercalcemia maligna e le metastasi ossee da tumore al seno, prostata, polmone e mieloma multiplo. Ma l’uso crescente di questi farmaci ha avuto come effetto l’aumento dei casi di l’osteonecrosi delle ossa mascellari.

Un articolo pubblicato sulla rivista Italian Oral Surgery (2008;05:27-39) ha riportato i dati risultanti da una serie di studi degli ultimi 10 anni che riguardavano l’uso dei bifosfonati e le complicazioni orali che possono comportare. La ricerca è stata condotta tra ottobre 2006 e gennaio 2007 raccogliendo i dati da Medline e Elsevier Sciencedirect.

Il primo caso di osteonecrosi correlata all’impiego di farmaci a base di bifosfonati risale al 2003 e sono notevolmente aumentati negli ultimi anni per il crescente utilizzo di questi farmaci in pazienti affetti da tumori come prevenzione dell’insorgere di metastasi ossee.

Il ruolo del dentista è molto importante nella prevenzione di queste complicazioni attraverso il controllo delle patologie orali come le carie, le malattie parondotali e lesioni perapicali in modo che il paziente possa mantenere un buono stato di salute orale prima di intraprendere una terapia a base di bifosfonati per garantire un migliore successo della terapia stessa in quanto qualsiasi patologia orale può peggiorare velocemente in corso di chemioterapia.

Nel caso l’osteonecrosi, spiegano gli autori, sia presente, invece, l’intervento migliore consiste nell’eliminare o ridurre il più possibile i sintomi del paziente ricorrendo ad una terapia a base di antimicrobici orali (clorexina gluconata 0,12%) e antibiotici sistemici come la penicillina. In alternativa diversi autori consigliano un trattamento chirurgico conservativo che permette di eliminare il tessuto necrotico e la copertura dell’osso esposto con un lembo mentre un trattamento chirurgico più aggressivo come la maxillectomia solo nei pazienti che non rispondano a terapie alternative.

 

 


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