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La diagnosi dei tessuti orali attraverso la luce. Un utile strumento per la diagnosi precoce
[giovedì 1 ottobre 2009]

Gli obiettivi delle tecniche che valutano l’autofluorescenza dei tessuti del cavo orale sono la migliore visualizzazione della mucosa orale e la diagnosi precoce di ogni potenziale anomalia della mucosa, soprattutto delle lesioni potenzialmente maligne o cancerose. A ricordarlo sono gli autori del lavoro pubblicato su Il Dentista Moderno (2009:07; 66-77).

La fluorescenza, speigano, è una proprietà tipica di alcune molecole, chiamate fluorofori, in grado di assorbire luce e riemetterla a una lunghezza d’onda maggiore. Nella pratica clinica, i fluorofori esogeni sono sostanze fluorescenti somministrate dall’esterno che si accumulano in specifici tessuti o si legano a specifici bersagli biologici, mentre i fluoro fori endogeni sono sostanze fluorescenti normalmente presenti nei tessuti, che danno luogo al fenomeno dell’autofluorescenza. Sono autofluorescenti, per esempio, le proteine di struttura (collagene, elastina) e alcune molecole coinvolte nel metabolismo cellulare (NADH, FAD). Nell’ultimo periodo, in ambito odontostomatologico, sono emerse nuove tecniche basate sulla valutazione dell’autofluorescenza allo scopo di facilitare la diagnosi precoce delle lesioni orali pre-maligne e maligne. Dopo la visualizzazione dell’autofluorescenza, infatti, la mucosa orale normale appare verde, mentre le lesioni displastiche appaiono scure rispetto al tessuto sano circostante.

Differenza catalogata dagli autori in cinque cambiamenti fenotipici che coinvolgono la fluorescenza epiteliale e stromale con la progressione della displasia: 1) decomposizione della matrice collagene, dovuta alla scomparsa dei ponti di collagene; 2) riduzione della fluorescenza del FAD, a seguito dell’aumentata attività metabolica epiteliale; 3) neoangiogenesi correlata alla progressione della lesione, che determina un aumento del flusso ematico (aumentato assorbimento a 410 nm); 4) aumentato scattering nucleare, con conseguente riduzione della fluorescenza epiteliale; 5) ispessimento dell’epitelio.

La metodologia attualmente in uso, concludono, è di facile impiego e non risente delle variabili legate all’esperienza dell’operatore: la curva di apprendimento, infatti, è estremamente breve e il disagio per il paziente è praticamente nullo.

 


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