Non commette reato il libero professionista iscritto all'Albo che utilizza programmi informatici privi del marchio Siae. A stabilirlo è una sentenza della Corte di Cassazione che opera un distinguo tra imprese e studi professionali nell'utilizzo di software privi di licenza: gli iscritti all'Albo non sarebbero perseguibili.
Mentre aziende e imprenditori devono ben guardarsi dall'utilizzare software pirata in ufficio, gli studi professionali potrebbero anche passarla liscia e appellarsi ad uno storico precedente: la sentenza n.49385 della Corte di Cassazione, depositata il 22 dicembre 2009. Mentre le prime commettono reato in quanto i loro scopi sono esplicitamente a fini di lucro, le seconde godono di attenuanti, poiché ascrivibili alle "professioni intellettuali" - che prevedono iscrizione ad un albo e non prevedono attività di tipo "industriale". Inoltre, secondo la Corte, il reato previsto dalla legge n.633/1941 (art. 171bis) non è applicabile agli studi professionali, anche perché ai privati non è fatto obbligo di esporre il marchio Siae. Nel caso in questione, l'utilizzo di materiale privo di licenza sarebbe stato quello di un geometra, precedentemente condannato per aver installato sui “pc” del proprio studio delle copie di Microsoft Office 2000 e Windows 2000.
Di fatto, viene ricordato, in Italia non è esplicita la normativa sull'obbligo di esposizione del marchio, in quanto non è mai stata comunicata alla Commissione Europea l'effettiva compatibilità con le norme Ue in materia, così come invece viene prescritto dalla sentenza CE C-20/05.