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Tribunale di Monza condanna centro dentale e direttore sanitario per danno verso una paziente. Il commento di Marco Scarpelli odontologo forense
[venerdì 19 febbraio 2010]

L'accordo con un medico dentista per una certa cura odontoiatrica può essere ritenuto una sorta di contratto, rispetto al quale il medico è tenuto a eseguire una prestazione a regola d'arte e quando questo non avviene, il dentista può essere ritenuto inadempiente e deve quindi risarcire il danno inflitto al paziente. A sostenerlo è una recente sentenza del Tribunale di Monza che si è pronunciata sul caso di una paziente che aveva subito lesioni dopo un intervento odontoiatrico.

Nello specifico la paziente al termine di una terapia implantologica con applicazione di una protesi fissa prima provvisoria e poi definitiva continuava a lamentare dolori più volte segnalati ai dentisti curanti senza ottenere risposte. Allora si rivolge ad un altro studio che evidenza carenze cliniche, estetiche e funzionali. La paziente si sottopone, prima di farsi risolvere il problema dal nuovo dentista, ad un accertamento tecnico preventivo presso il tribunale che tramite il proprio perito ha “certificato” la sua situazione clinica.

Al termine del dibattimento il giudice ha ritenuto di condannare sia il centro medico dove sono state effettuate le cure che il suo direttore sanitario.

“La vecchia dizione contrattuale/extracontrattuale –commenta Marco Scarpelli noto odontologo forense- non ha più motivo di essere se non per la sua origine etimologica storica. Oggi possiamo ritenere come l'ambito contrattuale abbia un significato molto più ampio rispetto a quello iniziale che appunto si riferiva alla stretta natura giuridica del rapporto dentista/paziente (prestazione contro prestazione economica). Questo determina un onere ben più significativo ed appesantito a carico del professionista che, in pratica, a fronte dell'accusa di malpractice deve –lui- dimostrare di avere ben agito secondo le regole dell'arte medica/odontoiatrica. Se tale dimostrazione non è possibile, ad esempio per carente documentazione del caso e se viceversa sono evidenti gli effetti negativi di una terapia giudicata come non congrua, gli effetti ricadono su tutti i professionisti interessati in misura direttamente proporzionale al ruolo da ognuno svolto nella causazione del danno”. 

“Dalla descrizione del caso –continua Scarpelli- si rileva la condanna anche a carico del direttore sanitario. Non a caso visto che il ruolo di direttore sanitario prevede anche compiti di "vigilanza" sulla attività degli operatori. In questo caso il giudice ha ritenuto che tale vigilanza non sia stata adeguatamente svolta (culpa in vigilando). Infine, si evidenzia un appesantimento della pena per incremento (il doppio) del danno biologico. Non conoscendo nei dettagli la vicenda non è dato comprendere la ragione fondamentale di tale intervento "punitivo". Tuttavia è facilmente ipotizzabile che il giudice, nell'ambito dei suoi poteri discrezionali, abbia calcato la mano in ragione di una terapia non solo male eseguita e peggiorativa delle condizioni del paziente ma, appunto, fondamentalmente inutile. Quindi non solo vengono “punite” le prestazioni male eseguite ma anche prestazioni eseguite inutilmente. Si può quindi affermare che l'errore si basa su scorretta scelta diagnostica e su scorretta procedura terapeutica”. 


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